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LIVORNO, Una città, la sua storia..

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icon1  view post Posted on 4/1/2009, 19:08




Suole dirsi che Livorno non ha una storia. Niente di più sbagliato, questa città, una storia l'ha.
Ha radici antiche, ma il modo in cui nasce e si sviluppa porta alla fusione di storie diverse. Il villaggio si trasforma in città e porto del Mediterraneo. Il decollo avviene sotto Cosimo I, che vuole trasformare il villaggio in un punto di riferimento per la navigazione ed un centro di scambi internazionali.
Potremmo dunque dire che Livorno è una città inventata, disegnata e programmata.
Forse è per questo che oggi è tutta da scoprire. Una città che nasce da una “ idea politica “. Livorno in Toscana fa storia a sé. Per popolarla, nel 1593, Ferdinando I promulga la legge “ Livornina “, una Costituzione vera e propria, composta di 44 articoli. La Livornina favorisce l’immigrazione di mercanti d’ogni nazione. Intorno alla metà del Seicento, Livorno era animata da un’umanità dalle fogge più varie: levantine, iberiche, nordiche, ma anche colonie d’italiani, genovesi, veneziani, napoletani. Ecco perché possiamo dire che questa città ha, non una ma molte storie; la storia di Livorno è influenzata da usi e costumi delle popolazioni estere che qui s’insediano quando i Granduchi decidono di farne una “ piazza “ mercantile cosmopolita. Quest’amalgama di popolazioni tramanda i livornesi d’oggi, discendenti dunque di un colorito e spesso “ discusso “ insieme di persone venute a popolare la nostra terra.
Questo lavoro, dedicato a tutti noi, prende spunto da una ricerca scolastica, ed è divenuto quasi un libro, che, con vari capitoli, parla della città, del suo sviluppo, della sua storia, delle sue curiosità, della sua lingua e, per finire, della sua cucina. Quella cucina livornese, parte integrante della nostra cultura, che dovrebbe essere oggi riscoperta. Spero di essere riuscito, con questa mia ricerca, a dimostrare che anche Livorno ha una sua “ storia “, una propria specificità e che serva, a farla conoscere meglio.

L I V O R N O L A C I T T À
Livorno, città della Toscana, capoluogo di provincia.
A tre metri sul livello del mare, con circa 168 mila abitanti situata nella pianura alluvionale dell’Arno tra i torrenti Ugione e Chioma.
Importante porto sul Mar Tirreno, è sede dell’Accademia Navale. Nel suo territorio è compresa l’isola di Gorgona.
Patrona della città è Santa Giulia, la cui ricorrenza cade il 22 Maggio.
Livorno, il cui impianto è di tipo moderno, è contenuta in un semicerchio oltre il quale va a svilupparsi i quartieri periferici.
A nord e a sud, il semicerchio è chiuso dai confini territoriali posti sulla costa. Qui va a congiungersi all’altezza di Quercianella (separata dal promontorio del Romito, a picco sul mare) ed a quella dello Scolmatore rispettivamente con i territori di Rosignano e con quello di Pisa, salvo un breve tratto di territorio di Collesalvetti.
L’abitato all’interno del semicerchio ripete approssimativamente la figurazione geometrica della città-fortezza buontalentiana, è intersecato da corde viarie che lo attraversano orizzontalmente e da rettifili verticali.
Una strada segue l’andamento costiero, l’altro passa a circa un chilometro dalla foce del Rio Maggiore. Il rettifilo settentrionale va dall’estremità nord del semicerchio fino al porto mediceo andando ad imbattersi con l’antichissima Via San Giovanni, tracciata dai Pisani per unire al retroterra la Rocca da loro costruita sul mare. Il rettifilo centrale, partendo dalla nuova Stazione ferroviaria, divide l’abitato lasciando a destra la parte sei-settecentesca, e a sinistra la nuova, costruita nell’Ottocento. Il rettifilo meridionale va a ritrovare la costa all’altezza della foce del Rio Maggiore in S.Jacopo dalla parte sud del semicerchio.
Da parte di terra Livorno confina con il sistema collinare: il Monte Massi nel lembo meridionale, poi la Valle Benedetta e, a scirocco, il Gabbro. Qui s’incontra con l’alveo del torrente Chioma insieme con il quale ridiscende fino a sboccare in mare.
Oltre all’Ugione ed al Chioma ci sono altri piccoli corsi d’acqua che nascono e rimangono nel territorio livornese: il Felciaio, che insieme con l’Ardenza ed il Chioma va a confondere la propria acqua in mare sulla costa a sud della città, il Cigna e l’Ugione finiscono in mare presso il porto Nuovo, al Marzocco.

S V I L U P P O U R B A N I S T I C O

Disegnata secondo uno schema ideale da Bernardo Buontalenti nel 1576, si pone la prima pietra il 28 Marzo 1577, ad ore 16 e due terzi.
Lo schema buontalentiano a pianta pentagonale sarà modificato dall’architetto parmense Claudio Cogorano che, a partire dal 1585 lavorò attorno ai principali edifici cittadini.
L’epoca immediatamente successiva è caratterizzata dalle opere dell’architetto Alessandro Pieroni (1550 - 1607) autore tra l’altro del Duomo (1595).
La figura di Giovanni Del Fantasia, Governatore nel 1715, primeggiò durante l’età barocca.
S'ispira invece alle opere di Pasquale Poccianti (1774 - 1858) il periodo neoclassico.
Sotto la guida del Poccianti è portato a compimento l’acquedotto di Colognole; lo stesso è anche autore del Cisternone e del Cisternino.
La città s'ingrandì nella stessa epoca secondo il Piano Regolatore di Luigi Bettarini.
L’ingrandimento avviene verso sud, dove era indicata la direttrice sul prossimo incremento urbano, peraltro già accennata dallo stesso Poccianti con la costruzione del Ponte Nuovo insieme con l'altra direttrice verso nord-ovest sul tracciato di Via Garibaldi e Via Palestro. A seguito di queste indicazioni sorgono nuovi quartieri attorno alle chiese, SS. Pietro e Paolo, nella parte più a ponente della città, San Benedetto a sud-ovest, Madonna del Soccorso più a levante, San Giuseppe a nord-ovest; mentre la proiezione indicata da Poccianti in direzione sud, sud-ovest, oltre a completare gli agglomerati urbani attorno SS. Pietro e Paolo, permise lo sviluppo di una zona residenziale e destinata anche ad attrezzature turistiche, abbastanza ricercate per l’epoca, lungo la passeggiata a mare, l’attuale Viale Italia.
La fine dell’Ottocento e gli inizi del XX secolo furono caratterizzati dagli interventi dell’ingegner Angiolo Badaloni, autore d'edifici riecheggianti, in certi casi, il precedente neoclassicismo.
Purtroppo dobbiamo dire che l’assieme di tutti questi stili, socievolmente armonizzato tra vecchio e nuovo, raccordati in maniera sapiente dal percorso del Fosso, che divide la città, è andato notevolmente perduto, durante il dopoguerra e la difficile opera di ricostruzione, condizionata dalla necessità di ripristinare prontamente la città per permettere il rientro dei cittadini che erano stati costretti ad allontanarsi.
Testimonianza più tangibile è forse il fatto d'aver permesso la costruzione in mezzo alla piazza principale cittadina, fino allora una delle più belle d’Italia, il Palazzo Grande, meglio conosciuto come Nobile Interrompimento.

L A C I T T À M U R A T A

Dal progetto Buontalenti al Settecento
La città voluta dai Medici a partire dal XVI secolo è, una città pianificata, in parte secondo indirizzi teorici cinquecenteschi, ma che adatterà e forzerà la propria forma ad esigenze concrete dettate dall’apparato economico e commerciale che si afferma nei secoli XVI e XVII. Infatti, la “ forma urbis “, il pentagono, deciso dal Buontalenti rimarrà a segnare la fisionomia della città in pratica fino ad oggi; profonde trasformazioni: la prima e la seconda Venezia e, lo sviluppo dell’apparato portuale che interverranno a modificare il progetto originario. Sulla forma derivata da schemi ed elaborazioni svolte intorno al concetto di città ideale, si verranno a sovrapporre le varianti determinate dalle esigenze dell’attività produttiva, con la creazione delle due Venezie e l’inedita e funzionale proposta d’uso di canali scavati intorno alle fortificazioni.

L A C I T T À D E L L' O T T O C E N T O

L’abolizione delle servitù militari nell’area circostante le fortificazioni il 15 dicembre 1776, rompe i confini della città buontalentiana e determina le direttrici del successivo sviluppo urbano. L’apparato delle fortificazioni è progressivamente smantellato: lottizzazione del Rivellino di San Marco nel 1802, apertura della Porta del Casone nel 1828; fino ai grandi interventi di demolizione delle mura e rettificazione dei Fossi pianificati dal Bettarini nel 1831.Si ripropone l’uso commerciale del Fosso circondario, secondo la matrice tipologica della lottizzazione delle due Venezia, in un periodo che vede di lì a poco, con tutte le conseguenti trasformazioni, l’avvento della civiltà industriale.
Il caposaldo dell’assetto economico-commerciale, il Porto Franco abolito nel 1866 segue di pochi anni gli interventi del Bettarini dimostrando come questi non corrispondessero ad un intervento di pianificazione nel senso d’adeguamento della forma all’uso ed alle necessità economiche, bensì si risolvessero quasi unicamente in una operazione estetica sebbene d’alto valore urbanistico -architettonico.

L A P R I M A M E T À D E L N O V E C E N T O

Gli interventi di smantellamento della città murata si concludono con l’inizio del XX secolo. Si pongono nuovi problemi per la definizione della forma urbana in funzione di nuove problematiche economiche, ma anche e soprattutto politiche. Durante il “ventennio” (1927) si procede all’avvio di studi congiunti per la stesura di un Piano Regolatore Generale. In realtà il piano non sarà mai deliberato dall’Amministrazione ed avremo solo l’applicazione d’alcune direttive in esso espresse. Gli interventi più indicativi di questo periodo sono quelli del risanamento del centro realizzati attraverso sventramenti in sintonia con le contemporanee elaborazioni teoriche in materia d’urbanistica ed architettura. Nel periodo dal 1926 al 1930 si sventra la zona dietro Via Cairoli, nel 1938 e nel 1940 si affronta il problema del risanamento del centro, il piano rispecchia l’impostazione retorica del momento.

I L D O P O G U E R R A

Il Piano Roccatelli
La seconda guerra mondiale segna una frattura per la storia urbanistica di Livorno: il suo nucleo originario, il centro, è molto colpito dai bombardamenti e oltre i fossi, rimangono solo i borghi sette-ottocenteschi a costituire l’unica permanenza storica dell’antica città. Nel centro saranno distrutti il 33,38 % degli edifici e gravemente danneggiati il 28,30 %, solo l’8,38 % illesi.
Il Piano di Ricostruzione redatto dall’Amministrazione Comunale è respinto dal Ministero; si affida dunque il nuovo incarico a Carlo Roccatelli che provvede in breve tempo alla elaborazione di un nuovo piano basato sul principio del diradamento edilizio. Nella relazione del Piano Roccatelli sono in ogni modo espresse intenzioni precise circa la conservazione dell’antico tessuto del centro che tuttavia non trovano applicazione nelle norme attuative dello stesso.

Il Piano Detti

Una legge del 1942 impone la redazione del Piano Regolatore Generale; il Municipio tiene conto di questa normativa dopo l’istituzione dell’Ufficio Urbanistica nel 1946. Inizialmente sono condotti studi dallo stesso Ufficio con la consulenza di una Commissione presieduta dall’Architetto Bartoli. Nel 1952 subentra l’Architetto Detti con cui è oggi identificato il PRG approvato nel 1961. Nella prima parte della relazione illustrativa dove è svolta l’analisi dello stato di fatto, la città, questa è divisa in quattro zone, una delle quali è il centro storico delimitato dai fossi: si tratta della zona maggiormente colpita dai bombardamenti e pertanto interessata da massicci interventi di ricostruzione che l’hanno profondamente trasformata. In questo piano non sarà data una valutazione negativa della ricostruzione, anzi considerata come valido intervento di risanamento che segue quelli avviati ad inizio secolo; che è accelerato e soprattutto facilitato dalle distruzioni prodotte dalla guerra. La mentalità di base della pianificazione urbanistica in quell’epoca è priva di una sensibilità volta al recupero, al contrario è indirizzata alla edificazione di palazzi moderni sulle aree occupate dal tessuto antico, del quale è auspicata la demolizione.


L E G G E N D A E S T O R I A

Le origini della città sono molto incerte, se non misteriose.
Lo scrittore livornese Gastone Razzaguta nel suo volume “ Livorno nostra “, così descrive la leggenda di Ercole Labrone.

L E F A T I C H E D I E R C O L E L A B R O N E



“ I Labronici “



Il Signore diede a quelle co-

struzioni il nome di “ Villaggio

di Labrone “. E ’ sei li chiamò

“ labronici “. E così originò il

primo gruppo labronico. Il “ gattuccio “

disse che in Oriente aveva sentito parlare

d’un tempio con sulla porta scritta

a lettere d’oro: “ Conosci te stesso “.

Allora i Labronici pensarono di scrivere

sopra la porta del loro Castello:

“ di Labron son nato “. E ce lo

scrissero con lettere di bronzo.





“ Il Cacciucco “



Il Signore apprezzò l’orgoglio

de’Labronici. E l’ispirò di combi-

nare un “ piatto “ che li ricordasse nel tempo.

E preso un tegamo ci messero dell’olio

di oliva e della salvia e dell’aglio

tritato e del sale. E fecero soffriggere

e rosolare bene. E poi allungarono

con acqua e pomodoro a pezzi. E drogarono

con pepe e molto zenzero. E fecero ritirare

quell’intingolo. E poi presi i polpi e gat-

tucci e gronghi, li tagliarono, e ci aggiun-

sero scorpani e gallinelle e cicale intere.

E tutto buttarono nell’abbondante salsa

tirata. E fecero foco lento perché cuo-

cesse e saporisse bene. E poi affetta-

rono molto pane e l’arrostirono

e lo strusciarono coll’aglio. E

lo messero in un catino. E ci

versarono sopra quella broda col pesce.



E dopo una preghiera al Signore mangiarono quella zuppa che trovarono sana e forte com’erano loro. Allora dissero: “ come dall’insieme di questi rozzi pesci è sortito un buon piatto, così da noi verrà la bella cosa voluta dal Cielo. Perché sulla terra del nostro Villaggio cogli anni crescerà una gran “ pianta “. Sia questo il nostro “ Piatto della ricordanza “. E lo mangino i nostri figli e' figli de’nostri figli. E così fino alla consumazione de’ secoli. E ' Labronici si strinsero la destra giurando fedeltà. E chiamarono quella vivanda piccante “ Cacciucco “.

I L C A S T E L L O D I L I V O R N O

“ I Livornesi “



Il Signore si compiacque di

quelle cose de’ Labronici. E

li mandò delle donne perché

crescessero e moltiplicassero

lestamente. E il Villaggio non

li contenne più. Allora lo

ingrandirono con altre fabbri-

che e lo chiamarono: “ Castello

di Livorno “. E loro si chiamarono

d’allora: “ Livornesi “.“. Intanto la

terra era rassodata e dava frutti.

E le acque incanalate davano buona

pésca e comodi passaggi.



Il Signore soddisfatto di quelle cose de’ Livornesi li guardò con occhio benevolo.
Questa è la leggenda d’Ercole Labrone e della nascita di Livorno così come la narra il Razzaguta.
Non è possibile individuare le origini di Livorno, risalendo al significato del suo toponimo, anche se non sono mancati i tentativi.
Il Padre Nicola Magri sostiene che Livorno è originata da Ligure figlio di Fetonte, approdato ai nostri lidi verso “ l’anno del mondo 2325 “. Da Ligure appunto la nostra città avrebbe preso nome. Agostino Santelli, Padre agostiniano come il Magri fa risalire la fondazione da un Tirreno, conduttore dei Lidi dell’Asia Minore intorno “ l’anno del mondo 2656 “. I Lidi avrebbero, secondo Santelli, edificato un Tempio ad Ercole protettore dei naviganti e un villaggio attorno e che nominarono Labrone.
Nicolò Tommaseo insieme con altri attribuisce la fondazione ai Liburni antichi abitatori della Croazia occidentale che si chiamava Liburnia. Come si vede molti si sono cimentati nello studio e nella ricerca delle origini dei Livornesi. Avremmo potuto parlarne ancora per molto fino ad arrivare persino a Cicerone che citerebbe il porto di Labrone o di Pisa in una lettera a suo fratello Quinto.

S’inizia a parlarne intorno ai secoli XI e XII.

Considerando i ritrovamenti fatti nei pressi dei monti pisani e la somiglianza con altri effettuati sulla costa ligure si presuppone che la zona livornese sia stata abitata dai Liguri, conseguentemente sia caduta sotto i Focesi nel VI secolo A.C. per tornare nuovamente nel III secolo ai Liguri, rimanendovi fino alla romanizzazione che avviene nel corso del II secolo A.C.. Non è possibile formarsi una precisa idea della civiltà esistente in quest’arco di tempo, almeno fino all’apertura della Via Aemilia Scauri, (109 A.C.) a causa della scarsità delle notizie e della povertà dei ritrovamenti archeologici. La colonializzazione romana lasciò in ogni modo tracce evidenti come sembra possa dedursi da alcuni toponimi tuttora in uso: Ardenza da “ Ardentia “, Salviano da “ Salvius “, Antignano da “ Antonius “, e da una zona sepolcrale scoperta nei pressi di Campo ai Lupi collegata, probabilmente a Triturrita, la città visitata e descritta da Rutilio Namaziano nel 416 d.C.. Altrettanto certo che i Romani avessero collegato la costa livornese a Pisa e al Portus Pisanus, anche se nessuno è al momento riuscito a ricostruire il tracciato di quell’antichissima strada, anche perché vi sono state molte trasformazioni dovute all’incessante erosione d’acque stagnanti derivate dal mare prosciugato dai depositi fluviali.

R I T R O V A M E N T I A R C H E O L O G I C I

Secondo una cartografia e relativo elenco stilato dalla Soprintendenza Archeologica della Toscana sono state individuate 15 aree d’interesse archeologico: S. Stefano ai Lupi, Cisternino, Vallimbuio, La Cigna, Querciolaia, Limone, Salviano, San Martino in Collinaia, S. Martino Stillo, Monterotondo, Montenero, Monteburrone, Antignano, Quercianella, Podere al Gorgo, Gorgona. I reperti archeologici più importanti sono stati ritrovati a:

- SALVIANO:

frammenti di un coccio che ha impresso il marchio “Salvius”. E’ dunque probabile che la località fosse un possedimento della “Gente Salvia”.

- POGGI SOPRA LA LECCIA:

frammenti di ceramica protostorica.

- LE PANCHE:

frammenti di ceramica dell’età del bronzo.

- VILLA DI LIMONE:

frammenti dell’età del ferro.

- QUERCIANELLA:

oggetti etruschi e romani.

- CIMITERO COMUNALE DEI LUPI: (vicino)

tombe con scheletri messi in una specie di cassa a forma di capanna, costruita con grandi embrici a forma di capanna, oltre a vari sepolcri liguri del II e III secolo a. C. Altri reperti portuali trovati nella stessa zona proverebbero che, già in epoca romana, Pisa utilizzava un porto sulla Gronda dei Lupi, ove il Sinus Pisanus aveva acque più profonde e riparate dal violento vento di libeccio.
Verso il piano dell’antica Porto Pisano sono state ritrovate circa duemila monete di rame ed alcune d’argento d’epoca romana, oltre a frammenti della stessa epoca, con figure muliebri a bassorilievo e lucerne, vasetti, tazzine, fibule, statuette in terracotta.
In S. Stefano ai Lupi sono stati individuati due giacimenti Paleolitici (età della pietra antica) con raschiatoi su scheggia.
Altri siti: Colognole con un sepolcreto (monete di Traiano, Adriano e Diocleziano) Monteburrone, raschiatoi e tracce neolitiche; Montignoso, vicino all’Ardenza in un cunicolo detto “Buca delle Fate”, ossa lavorate, manufatti di corno o cervo, pezzi di ceramica, rame e piombo, Suese, oggetti agricoli in bronzo, rasoi, fibule, Monterotondo, tombe d’origine villanoviana oltre a punteruoli, cuspidi di freccia, asce e altri strumenti.

I L C A S T E L L O

Verso il 91 Pisani e Longobardi cooperarono a sistemare la rete viaria. Dal cosiddetto “Trebbio” d’Aldule (Trebialdule) dipartiva un trivio di strade: la prima sarebbe la via per Salviano che, dopo Colognole, raggiungeva l’Aemilia Scauri, la seconda la via Pisana che costeggia l’antico Porto Pisano e la terza, diretta verso ponente, portava a Liburna, embrione della futura Livorno. Era in questo trivio che sorgeva una cappella dedicata a Santa Giulia che, gli uni chiamano di Liburna, gli altri di Porto Pisano. Alcuni documenti citano dapprima un Castello di Labrone e riguarda la chiesa di S. Giulia (891), in seguito Livorna in un documento datato 904, dell’Archivio Arcivescovile di Pisa per finire a quello del 1103 in cui si parla di Triturrita:
La prima notizia importante che riguarda Livorno risale in ogni modo alla battaglia della Meloria il 6 Agosto 1284. Potremmo dunque affermare che Livorno è una città inventata, disegnata e programmata.
Forse per questo oggi è tutta da scoprire.
Livorno nasce da una “idea politica”.
Si origina con una fondazione con tanto di “posa di prima pietra” che avviene il 28 Marzo 1577.
La Fortezza, era stata acquistata dai Fiorentini insieme all’ormai morente Porto Pisano, dietro pagamento di ben centomila fiorini d’oro pagati ai Genovesi nel 1421.
C’è da dire che seguendo l’andamento dei prezzi applicati durante le varie vendite, la valutazione del Castello fosse in continuo aumento a dimostrazione dell’accresciuta attenzione nei confronti dell’abitato, seppur ancora di modeste proporzioni. Nel 1121 quando l’Opera Primaziale di Pisa la cede al Vescovo di Pisa Attone (Attus) il prezzo era simbolico: un anello d’oro pari a mille lire lucchesi; Boucicault, governatore in nome di Carlo V cede la città castellare ai Genovesi per 2600 fiorini d’oro; i Genovesi abbiamo già visto, la rivenderanno dopo quattordici anni al prezzo di centomila fiorini d’oro.
Ebbe la consacrazione dei Medici dopo che i “Villici Livornesi” avevano sostenuto valorosamente l’arrembaggio dell’imperatore Massimiliano I di Germania, nel 1496.
Il decollo vero e proprio avviene sotto Cosimo I (1519-1574) che volle trasformare il Villaggio in un punto di riferimento per la navigazione nel Mediterraneo ed un centro di scambi internazionali.
Si incaricherà Francesco I con l’affidamento del progetto a Buontalenti di trasformare Livorno, creando una nuova città fortificata.
Nel 1590 Livorno conta appena 530 abitanti.

L A L I V O R N I N A

“ Prima ‘he finisse ‘r seolo Fernando

t’ebbe ‘n’idea di velle propio bone,

fece la livornina e levò ‘r bando

a chi si stabiliva qui a Labrone.



La gente viene qui anco volando,

chi viense da Siviglia o da Tolone,

chi viense a piedi anco zoppiando,

quello che ‘n viense fu ‘n vero coglione.



Viense l’ebreo a vende le pannine,

viensero Greci, Turchi e Maroniti

con le su’mogli more e levantine.



Si doventò così cosmopoliti

come Niuorche, e tutte le banchine

furon l’approdo per la nova city. “


Fu determinante l’opera legislativa di Ferdinando I che emanò nel 1593 la Costituzione Livornina o più comunemente “Livornina” allo scopo di convincere la gente ad abitare in una zona così aspra e malarica.
“ Privilegi concessi ne’X di Giugno 1593 al Porto di
Livorno a favore de’Mercanti Stranieri “:
Don Ferdinando Medici per la Dio grazia Duca di
Toscana III di Fiorenza, e di Siena Duca IV, Sig.re
di Porto Ferrajo nell’Isola d’Elba, di Castiglione
della Pescaia, e dell’Isola del Giglio, e Gran Maestro
della Sacra Religione di S. Stefano.
A voi tutti Mercanti di qualsivoglia Nazione,
Levantini, Ponentini, Spagnoli, Portoghesi, Greci,
Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni,
Persiani et di altri Stati.
Significhiamo queste nostre Patente Lettere,
qualmente essendo Noi mossi da degni
rispetti, e massime dal desiderio, che è
in Noi per benefizio pubblico di accre-
scere nell’occasione l’animo a Fore-
stieri di venire , di frequentar i loro
Traffichi, e Mercanzie nella nostra
diletta Città di Pisa, e Porto e
Scalo di Livorno, con stare ed abitare
con le vostre Famiglie, ò senza esse,
sperandone abbia a resultare utile
a tutta Italia, Nostri Sudditi, e massime
a Poveri;
Però per le soprad.e et altre Cause, e
ragioni ci siamo mossi a darvi e concedervi,
siccome Noi in virtù delle presenti vi diamo, e
concediamo le grazie, privilegi, plerogative,
immunità, et esenzioni infrascritte.....
Fanno seguito quaranta articoli della legge, rivolti fondamentalmente ai mercanti ebrei con i quali si stabiliscono condizioni economiche vantaggiose a coloro che sono disposti a svolgere le loro attività economiche a Livorno e Pisa onde incrementare il commercio in tutto il bacino del Mediterraneo. I privilegi, della durata venticinquennale erano di carattere sociale, religioso, amministrativo e penale. Ognuno era autorizzato a portare la propria famiglia e nessuno avrebbe potuto essere accusato da alcun tribunale per “delitto o maleficio enorme, grave, enormissimo e gravissimo, commesso fuori degli Stati Nostri per il passato.....”.
Ai nuovi residenti era “ permesso seguire.....cerimonie, precetti, riti, ordine e costume di Legge Ebrea, o altre, purché ciascuno ne faccia denunzia al Giudice da Noi da deputarsi....... “
Tutti avrebbero potuto studiare e come soleva dirsi, addottorarsi.
Era proibita in modo molto severo l’usura.
Da tutto questo rimasero esclusi falsari e coloro che avevano commesso “delitti” contro i loro sovrani.
D’altronde il porto aveva necessità di artigiani in genere come: calafati, barcaioli, facchini, marinai, legnaioli, muratori, maestri d’ascia, palombari, braccianti e, fu proprio grazie a questa legge, che la città poté svilupparsi.
Le porte della città si aprirono a numerose comunità straniere : Ebrei, Armeni, Greci, Francesi, Inglesi, Olandesi-Alemanni, Siro-Maroniti, Russi, Musulmani, Valdesi.
A sottolineamento dell’autonomia di cui godevano, le comunità assunsero il nome di “nazioni” contribuendo a fare di Livorno una città cosmopolita.
La popolazione crebbe, il commercio portò a Livorno ricchezze, agi, salute. Non vi è mai stato un “ghetto”: gli ebrei abitavano una zona vicino al porto in un’area limitrofa alla Sinagoga, comoda per lo svolgimento dei loro traffici. Il loro peso politico e demografico incise più delle altre nazioni tanto da consentire una perfetta integrazione con la popolazione.
Mercanti greci, spagnoli, portoghesi, ebrei intraprendono in maniera sempre più crescente i traffici con i loro paesi di provenienza tanto da far aumentare sempre più gli introiti cittadini.
Ma l’immunità che garantisce l’assolvimento da ogni conto aperto con la giustizia porta a Livorno individui anche poco raccomandabili che contribuiscono comunque all’accrescimento della città. Nel 1596 è permesso ad un inglese di esercitare l’esercizio di console britannico a Livorno, il provvedimento si dimostrò molto utile perché gli Inglesi ebbero la possibilità grazie ai dettami della “Livornina” di poter frequentare il nostro porto. Il giro delle mura medicee occupava un’area di circa quattro chilometri di perimetro. Circondate da un ampio Fosso comunicante con il mare avevano il centro cittadino compreso tra piazza d’Armi e via Ferdinanda (oggi rispettivamente piazza e via Grande). La porta a Mare si collocava sull’attuale piazza Colonnella, a sud si trovava il Bastione del Mulino a Vento (dove ora si trova Largo Rosselli) che portava, dopo una cortina alberata (scali D’Azeglio) al Bastione S. Cosimo da cui si accedeva, per mezzo di uno sdrucciolo sul davanti della Porta a Pisa (piazza Guerrazzi). Da qui le mura proseguivano fino alla Fortezza Nuova, molto più estesa dell’attuale, ed entravano fino al Porticciolo dei Genovesi. Su questo lato si poneva porta dei Navicelli dalla quale muoveva una nuova cortina fino alla Fortezza Vecchia, da dove procedeva fino a Colonnella. Fra la prima e la seconda darsena, a metà percorso si trovava porta Nuova. Il porto era difeso dal Forte di S. Bernardo (1620), più tardi chiamato di porta Murata da cui partiva una cortina fino al Bastione del Mulino a Vento sul quale era aperta la porta dei Cappuccini da cui usciva la strada che portava al convento per proseguire verso Montenero e Antignano. Il 19 Marzo 1606, con una solenne cerimonia avvenuta nella Cappella della Fortezza Vecchia, si provvede a dare a Livorno il titolo di città. E’ istituito il Capitanato Nuovo per dotarla di un territorio più vasto su cui esercitare giurisdizione amministrativa e si procede alla nomina del primo Gonfaloniere “togato” nella persona di Benedetto Borromei, medico condotto del Porto e della Comunità originario di S. Miniato al Tedesco. Con l’istituzione del Porto Franco nel 1618 Livorno diviene un enorme magazzino di mercanzie e la popolazione aumenta rapidamente tanto da costringere Cosimo II a far progettare a Giovanni Santi due nuovi quartieri nella parte settentrionale. Sorgono dunque la Venezia Nuova costruita interamente in mezzo all’acqua, isolato dal resto della città e il quartiere S. Marco; ambedue sopra l’area ottenuta dall’abbattimento di circa metà Fortezza Nuova. Si costruiscono altrove altre fortificazioni. A levante della Fortezza Nuova sorge il Forte S. Pietro, nuova opera militare collegato ad una linea di mura (alcuni resti ancora visibili in Via del Toro e dei Floridi). A metà lunghezza è eretta la prima porta S. Marco (p.za dei Domenicani) oltre la quale si estendeva un Rivellino il cui muro a scarpa è ancora visibile dalla Via Castelli. Complicati scambi territoriali portano la Toscana ad essere affidata ai Lorena nel 1737 dato che la dinastia dei Medici si estingue dopo un dominio durato circa duecento anni.

Il primo asburgico di Toscana fu Francesco III che assume il nome di Francesco II, lo seguirà Pietro Leopoldo, quindi Ferdinando III e Leopoldo II fino allo spodestamento. La politica del commercio di deposito compromessa intanto dal sopravvento della navigazione a vapore è abbandonata. L’economia di Livorno è indirizzata dai Lorena verso il movimento di importazione ed esportazione con il retroterra. La città muta profondamente con il permesso dato da Pietro Leopoldo di costruire sugli spalti. Livorno in pochissimo tempo perde la fisionomia di una città-fortezza. Un beneficio per tutta la città avviene con l’immigrazione di capitali ed operatori francesi in fuga a causa dei primi fremiti rivoluzionari, anche se breve giacché per Livorno arriva il tempo delle occupazioni militari con il blocco del porto e l’obbligo di pagamento di somme fortissime agli occupanti. Dal 1833 si pone mano all’ingrandimento delle mura, incaricati Alessandro Manetti e Carlo Reishemmer. Le prime mura cominciavano dal Forte di S. Pietro per proseguire fino al Fosso dei Navicelli dove si apre la Dogana d’Acqua comunicante con il Fosso che circondava la città. La nuova cinta proseguiva fino all’incrocio tra la via Solferino e la via Palestro dove si viene a collocare la nuova Porta S. Marco. Il muro prosegue attraverso i campi sulla via Pisana dove si colloca la Barriera “Fiorentina” oggi Garibaldi per piegare verso via di Salviano con l’apertura di Porta S. Leopoldo (attuale p.zza Damiano Chiesa) e poi proseguire fino a Porta Maremmana (Barriera Roma). Si continua lungo la attuale via Montebello fino al ponte sopra il Fosso che era stato costruito da Ferdinando II per unire il Lazzaretto S. Rocco a quello di S. Jacopo (interrato, oggi al posto dei Lazzaretti troviamo l’Accademia Navale ed il Cantiere Navale),
dopo il ponte le mura proseguivano lungo l’attuale via della Bassata fino alla Porta a Mare (oggi p.zza L. Orlando). La città assume così un aspetto diverso da quello barocco-rinascimentale. Intanto in mezzo alle varie categorie di popolazione iniziano a diffondersi teorie liberiste. Livorno è percorsa da un forte fremito di libertà come il resto del Paese. Iniziano i primi moti per l’Unità d’Italia, siamo nel 1848; il culmine della difesa della città avviene il 10 e 11 Maggio del 1849, quando i popolani livornesi tentarono opporsi agli invasori austriaci presso la Porta S. Marco. I testi di storia ricorderanno i moti di Milano, Brescia, ecc.; differentemente i moti di Livorno sono citati in “Nuova Gazzetta Renana” da Karl Marx quale esempio fra i democratici di Europa e da Antonio Gramsci in “Risorgimento Italiano”, quaderno 19. Sono ufficialmente riconosciuti dal Governo nazionale solo nel 1906, con la concessione di una medaglia d’oro al gonfalone comunale, “la coscienza democratica e l’eroismo del popolaccio livornese e dei ciurmatori politici” come Ricasoli definì i difensori di Porta S. Marco. E’ restaurata la monarchia austriaca fino al 1859 quando Leopoldo II è costretto, a causa dei moti risorgimentali legati alla seconda guerra d’indipendenza, ad abbandonare definitivamente la Toscana. Nel 1860 la Toscana è annessa, attraverso un plebiscito, al Regno di Sardegna. Livorno partecipa con grande entusiasmo alle imprese garibaldine; i fratelli Andrea e Jacopo Sgarallino partono dal porto cittadino con quaranta volontari diretti a Quarto per unirsi ai Mille; successivamente raggiunti da altri 1200 volontari. La città è riferimento costante e importante per Giuseppe Garibaldi; basta girare per le strade di Livorno per verificare, appunto, attraverso tracce e testimonianze, del rapporto che legava l’eroe dei due mondi ai livornesi. Il popolo vota l’11 e 12 Marzo per l’unione della Toscana al Regno d’Italia.

L E D O M I N A Z I O N I D E L L A C I T T A’ D I L I V O R N O

1103 - Repubblica Pisana

1404 - Dominio francese

1408 - Repubblica Genovese

1421 - Repubblica Fiorentina

1530 - Dinastia Medicea - ALESSANDRO (primo Duca di Firenze)

1536 - “ “ - COSIMO I (Duca di Firenze e Siena, poi Granduca di Toscana)

1574 - “ “ - FRANCESCO I (Granduca di Toscana)

1587 - “ “ - FERDINANDO I (Granduca di Toscana, cardinale)

1608 - “ “ - COSIMO II (Granduca di Toscana)

1620 - “ “ - FERDINANDO II (Granduca di Toscana)

1670 - “ - COSIMO III (Granduca di Toscana)

1723 - “ “ - GIANGASTONE (ultimo Granduca mediceo)

1737 - Dinastia Lorenese (influenza austriaca)

1799 - Occupazione francese

1801 - Interregno borbonico

1807 - Impero di Francia

1814 - Governo murattiano (febbraio-aprile)

1814 - Dinastia Lorenese (o austriaca)

I F O S S I


XVI° SECOLO

Nel XVI° secolo tra il 1563 e il 1574 è scavato il Canale navigabile dei Navicelli con lo scopo di collegare Livorno e Pisa ed agevolare i traffici commerciali. L’opera costituì uno dei primi interventi di risanamento della piana costiera. I lavori di generale riorganizzazione del sistema difensivo conseguente all’ampliamento della città progettata dal Buontalenti nel 1577 sono da ricondurre tra la fine del XVI° ed inizio XVII° secolo. Il fossato esterno alla Fortezza Nuova si realizza tra il 1590 ed il 1597. Ad inizio 1600 si scava il fosso circondario intorno ai nuovi bastioni, nello stesso tempo si apre una piccola darsena prospiciente la piazza d’Arme (attuale p.zza Grande) nota come il “Porticciolo”. A metà XVII° secolo, insieme alla realizzazione del primo accrescimento della Venezia, si attrezza con scali e magazzini di servizio ai traffici commerciali l’ultimo tratto del Canale dei Navicelli (oggi v.le Caprera, interrato dovrebbe esser riportato alle origini secondo un progetto dell’attuale Amministrazione Comunale). La stessa cosa è fatta per il canale che dalla Fortezza Vecchia arriva al Porticciolo (attualmente scali delle Ancore, scali delle Barchette). Ancora nella prima metà del secolo insieme al riassetto delle fortificazioni a sud, si realizza il Forte di Porta Murata, attorno al quale si devia il fosso circondario che si collega ai canali del Lazzaretto di S. Rocco (1580, attuale area del Cantiere Navale Orlando). Tra il 1628 e il 1715 il Lazzaretto S. Rocco è collegato con il nuovo Lazzaretto di S. Jacopo (iniziato nel 1643, terminato intorno alla fine del secolo) attraverso un canale navigabile chiamato “dei Lazzaretti” interrato nel 1888 (borgo S. Jacopo-via della Bassata). Intorno alla fine del 1600 si riorganizza il fronte fortificato a nord-città con il Baluardo S. Pietro e Rivellino S. Marco, in seguito uniti al baluardo grande della Fortezza Nuova. Esternamente al nuovo fronte difensivo è prolungato il fosso circondario:

XVII°-XVIII° secolo

L’abbattimento di parte della Fortezza Nuova è deciso nel 1696. Sopra gli spazi ricavati dall’abbattimento è costruito il secondo accrescimento della “Venezia”. Si apre un nuovo canale che divide il baluardo rimasto dall’area lottizzata (scali della Fortezza). Il fosso circondario della Fortezza è attrezzato con scali, scalandroni e banchine funzionali all’attività commerciale. Si configura l’organizzazione dello spazio articolata su livelli verticali ed orizzontali con lo sfruttamento di spazi scantinati, ricavati sotto il piano stradale e sotto i palazzi, in prossimità dei canali. All’inizio del ‘700 si interra il “Porticciolo” e il canale che lo collega al fosso Circondario la Fortezza Nuova (via del Porticciolo). L’area ricavata dall’interramento sarà lottizzata (attuale area del Comune nuovo).

XIX° secolo

Tra inizio e metà ‘800 sono occupati progressivamente le aree degli spalti, subito esterne ai fossati, soprattutto in prossimità della Porta a Pisa (p.zza della Repubblica) allo scopo di soddisfare la pressante domanda di spazi edificabili. Analogamente sono lottizzate altre aree del sistema difensivo: Rivellino S. Marco nel 1802, Bastione del Casone nel 1828 (p.zza Cavour). Nel 1831 si progetta, con Pasquale Poccianti, l’attuale piazza Mazzini di fronte al Lazzaretto S. Rocco (trasformato qualche anno dopo in Cantiere granducale e in seguito dato in concessione alla famiglia Orlando). Sarà Luigi Bettarini a stendere, nel 1844, il progetto di demolizione dei bastioni e conseguente rettifica con riorganizzazione del fosso circondario (oggi scali Manzoni, D’Azeglio, Bettarini e Olandesi). Anche la zona del Lazzaretto S. Rocco è investita da lavori di rettifica. L’anno 1849 sempre Pasquale Poccianti progetta il ponte dei Cappuccini allo scopo di collegare le due sponde del fosso in prossimità delle darsene del Porto. E’ sempre in questi anni che si costruisce una dogana in prossimità dell’ingresso del Canale dei Navicelli in città (Dogana d’Acqua); si scava inoltre una vasta darsena con lo scopo di agevolare i servizi commerciali attraverso la nuova porta sull’acqua (Darsena di Torretta) in parte interna e in parte esterna alla Dogana d’Acqua. Nella seconda metà dell’800 si pongono i primi problemi di ordine igienico. Si decide l’interramento in alcune zone: tra il 1866 e il 1870 si interra la Darsena di Torretta; nel 1867 si interra il fosso di Torretta e nel 1888 quello dei Lazzaretti (oggi via della Bassata e borgo S. Jacopo). Alla fine dell’800, nella zona San Marco-Torretta, divenuta zona industriale si aprono per necessità di traffico il Canale delle Industrie e quello delle Cateratte.

XX° secolo

Si realizza l’attuale viale Caprera con l’interramento dell’ultimo tratto del Canale dei Navicelli dovuto sempre a motivi di risanamento igienico. Siamo nel 1904. Nel corso degli anni ‘70, ancora una volta per motivi di risanamento igienico ambientale sono interrati il Canale delle Industrie e quello delle Cateratte. I lavori iniziano nel 1976 per terminare nel 1983.
 
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